3 settembre 2021

 

🟥 LA LOTTA CONTRO I LICENZIAMENTI: PER UNA RISPOSTA UNITARIA E GENERALE, ALL’ALTEZZA DELL’ATTACCO DI PADRONI E GOVERNO!
Un contributo che il Partito Comunista dei Lavoratori sottopone alla riflessione e alla discussione di tutte le organizzazioni del Patto d'azione anticapitalista, di cui siamo parte.
Cari compagni e care compagne.
Crediamo sia necessario aggiornare con uno sguardo d’insieme lo scenario che si presenta al piede di partenza dell’autunno dal punto di vista del…
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 Raggiungeteci sotto la questura di Prato. Hanno portato dentro gli operai Texprint e i coordinatori sindacali in sciopero della fame. 

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2 settembre 2021

L'assemblea pCollettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze delle lavoratrici

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e dei lavoratori Gkn ha votato e fatto proprio il seguente documento di indirizzo per una legge contro le delocalizzazioni, redatto dal gruppo dei giuslavoristi intervenuto il 26 agosto di fronte ai cancelli.
Nessuna legge sulle nostre teste, ma una legge che sia scritta con le nostre teste. Siamo pronti a presentare il testo di legge, ad arricchirlo sui cancelli di ogni azienda, a sostenerlo nelle piazze.
FERMIAMO LE DELOCALIZZAZIONI
Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione. Ciò è tanto meno accettabile se avviene da parte di un’impresa che abbia fruito di interventi pubblici finalizzati alla ristrutturazione o riorganizzazione dell’impresa o al mantenimento dei livelli occupazionali Lo Stato, in adempimento al suo obbligo di garantire l’uguaglianza sostanziale dei lavoratori e delle lavoratrici e proteggerne la dignità, ha il mandato costituzionale di intervenire per arginare tentativi di abuso della libertà economica privata (art. 41, Cost.).
Alla luce di questo, i licenziamenti annunciati da GKN si pongono già oggi fuori dall’ordinamento e in contrasto con l’ordine costituzionale e con la nozione di lavoro e di iniziativa economica delineati dalla Costituzione.
Tale palese violazione dei principi dell’ordinamento, impone che vengano approntati appositi strumenti normativi per rendere effettiva la tutela dei diritti in gioco. Per questo motivo è necessaria una normativa che contrasti lo smantellamento del tessuto produttivo, assicuri la continuità occupazionale e sanzioni compiutamente i comportamenti illeciti delle imprese, in particolare di quelle che hanno fruito di agevolazioni economiche pubbliche.
Tale normativa deve essere efficace e non limitarsi ad una mera dichiarazione di intenti. Per questo motivo riteniamo insufficienti e non condivisibili le bozze di decreto governativo che sono state rese pubbliche: esse non contrastano con efficacia i fenomeni di delocalizzazione, sono prive di apparato sanzionatorio, non garantiscono i posti di lavoro e la continuità produttiva di aziende sane, non coinvolgono i lavoratori e le lavoratrici e le loro rappresentanze sindacali.
Riteniamo che una norma che sia finalizzata a contrastare lo smantellamento del tessuto produttivo e a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali non possa prescindere dai seguenti, irrinunciabili, principi.
1. A fronte di condizioni oggettive e controllabili l’autorità pubblica deve essere legittimata a non autorizzare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo da parte delle imprese.
2. L’impresa che intenda chiudere un sito produttivo deve informare preventivamente l’autorità pubblica e le rappresentanze dei lavoratori presenti in azienda e nelle eventuali aziende dell’indotto, nonché le rispettive organizzazioni sindacali e quelle più rappresentative di settore.
3. L’informazione deve permettere un controllo sulla reale situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’azienda, al fine di valutare la possibilità di una soluzione alternativa alla chiusura.
4. La soluzione alternativa viene definita in un Piano che garantisca la continuità dell’attività produttiva e dell’occupazione di tutti i lavoratori coinvolti presso quell’azienda, compresi i lavoratori eventualmente occupati nell’indotto e nelle attività esternalizzate.
5. Il Piano viene approvato dall’autorità pubblica, con il parere positivo vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti, espressa attraverso le proprie rappresentanze. L’autorità pubblica garantisce e controlla il rispetto del Piano da parte dell’impresa.
6. Nessuna procedura di licenziamento può essere avviata prima dell’attuazione del Piano.
7. L’eventuale cessione dell’azienda deve prevedere un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato e delle istituzioni locali. In tutte le ipotesi di cessione deve essere garantita la continuità produttiva dell’azienda, la piena occupazione di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dei trattamenti economico-normativi. Nelle ipotesi in cui le cessioni non siano a favore dello Stato o della cooperativa deve essere previsto un controllo pubblico sulla solvibilità dei cessionari.
8. Il mancato rispetto da parte dell’azienda delle procedure sopra descritte comporta l’illegittimità dei licenziamenti ed integra un’ipotesi di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/1970
Riteniamo che una normativa fondata su questi otto punti e sull’individuazione di procedure oggettive costituisca l’unico modo per dare attuazione ai principi costituzionali e non contrasti con l’ordinamento europeo. Come espressamente riconosciuto dalla Corte di Giustizia (C-201/2015 del 21.12.2016) infatti la “circostanza che uno Stato membro preveda, nella sua legislazione nazionale, che i piani di licenziamento collettivo debbano, prima di qualsiasi attuazione, essere notificati ad un’autorità nazionale, la quale è dotata di poteri di controllo che le consentono, in determinate circostanze, di opporsi ad un piano siffatto per motivi attinenti alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione, non può essere considerata contraria alla libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 TFUE né alla libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE”
Riteniamo altresì che essa costituisca un primo passo per la ricostruzione di un sistema di garanzie e di diritti che restituisca centralità al lavoro e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori.
Per permettere una ponderata valutazione degli interessi incisi dal testo dell’atto legislativo in cantiere riteniamo necessaria ed immediata una sospensione da parte del Governo delle procedure di licenziamento ex l. 223/91 ad oggi avviate dalle imprese.
Documento redatto da
Danilo Conte
Giovanni Orlandini
Paolo Solimeno
Massimo Capialbi
Pier Luigi Panici
Silvia Ventura
Giulia Frosecchi
Marzia Pirone
Francesca Maffei
Approvato dall'assemblea permanente delle lavoratrici e dei lavoratori Gkn

1 settembre 2021

 

Era ampiamente previsto, e sta succedendo, esattamente come da copione: si esasperano gli animi, si approfondisce il solco fra le fazioni, poi si aspetta che qualcuno perda il controllo e reagisca, e così si criminalizza l’intera categoria.

Da oggo il nuovo dibattito sui talk-show serali è se esista un parallelo fra la violenza dei no-vax di oggi è il terrorismo delle brigate rosse.

Ovviamente, sanno tutti benissimo che non è così. Ma è sufficiente suggerirlo, perchè in qualche modo il concetto entri nell’inconscio collettivo. Ora che la parola “terrorista” è stata accostata alla parola “novax”, nulla potrà più separarla. Ci penserà poi la finestra di Overton - ovvero il lavorìo quotidiano della stampa mainstream – a renderla man mano più accettabile.

Il tutto inoltre avviene all’alba del giorno in cui il greenpass entra in vigore anche per i viaggi in treno e in aereo, esasperando così ancora di più gli animi già tesi di coloro che si sentono discriminati da questo provvedimento incostituzionale. La giornata di oggi (mercoledì) sarà cruciale per determinare il prosieguo del pubblico dibattito: se malauguratamente dalle previste proteste alle stazioni ferroviarie dovesse scaturire un grave fatto di violenza, questo darebbe il la a tutti coloro che aspettano solo un segnale favorevole per poter dire “Adesso basta. Repressione massima, e obbligo generalizzato”.

 

Il vero problema naturalmente non sta nella violenza di oggi, ma in coloro che hanno voluto scavare il solco ieri, ben sapendo a cosa avrebbe portato. Sono le stesse persone che oggi se ne stanno chiuse e rintanate in casa loro, con le finestre abbassate, ad aspettare il “fattaccio” che conceda loro il pretesto per calare definitivamente la mannaia.

Era tutto già scritto, e tutto sta accadendo secondo copione. Sta soltanto a noi cercare di fare in modo che questa storia prenda una direzione diversa da quella prevista.

E’ giusto essere incazzati, è giusto protestare ad oltranza, ma bisogna riuscire a farlo evitando di offrire alla controparte una scusa plausibile per una reazione fortemente repressiva. Serve a poco minacciare il singolo ministro o il singolo virologo, se non appunto ad offrire agli altri questa scusa su un piatto d’argento.

Oggi la cosiddetta “galassia no-vax” consta di un numero enorme di persone: sono dai dodici ai quindici milioni gli italiani che, per un motivo o per l’altro, non si vogliono vaccinare. Basterebbe a queste persone perseverare e tenere duro sulle proprie posizioni, senza mai cedere ai ricatti, e la battaglia alla fine sarebbe vinta comunque: non puoi obbligare quindici milioni di persone a fare qualcosa, se non la vogliono fare.

Basta resistere. Basta lasciar trascorrere il tempo necessario perchè la campagna vaccinale si incarti su sè stessa. Ormai siamo già dichiaratamente alla necessità di una terza dose, e presto l’intera idea del vaccino come “unica arma per uscire dal covid” diventerà ridicola a crollerà miseramente su sè stessa. Da sola, senza bisogno di fare niente.

La parola giusta non è "aggressione", ma "resistenza".

Esiste una bellissima immagine, nella filosofia taoista wu-wei: “L’uomo che cerca di risalire la corrente tempestosa del fiume farà una fatica enorme, e alla fine avrà fatto pochissima strada, se non rischia addirittura di cadere e di annegare. Se invece l’uomo, nel momento di difficoltà, sta fermo con le gambe ben piantate sul fondo, e lascia che sia l’acqua a scorrergli attorno, l’uomo non farà nessuna fatica, e otterrà comunque il risultato desiderato. Non sarà lui ad aver risalito il fiume, ma sarà l’acqua sporca ad essere scesa a valle”.

Che cosa sono le gambe ben piantate, nella metafora? Sono i quindici milioni di italiani che non si vogliono vaccinare, e che protestano pacificamente ad oltranza, senza mai passare dalla parte del torto, per non offrire alla controparte la scusa che sta aspettando per mettere mano ai manganelli.

Quelli, purtroppo, ce li hanno in mano loro. Noi, dalla nostra, abbiamo la ferma certezza di non voler cedere ai ricatti, e di voler difendere i nostri diritti fino in fondo. Ed è questa la cosa che a loro fa più paura.

Massimo Mazzucco