Libre :Schiavi dell’audicence: la Tv è “costretta” a produrre panico
In
questi giorni di panico generalizzato si parla molto dell’influenza che
ha la televisione sui nostri comportamenti. È evidente a tutti che se
in televisione si parla insistentemente di un certo argomento, quello
diventa automaticamente l’argomento più importante nella mente dei
cittadini. Se in televisione si parla costantemente di virus, di
contagio e di persone in quarantena, è chiaro che la gente corre
dappertutto a cercare mascherine e saccheggia i supermercati per
prepararsi ad una eventuale prigionia in casa propria. Una riprova di
questo la si può avere facendo un semplice “test al contrario”: fino
alla scorsa settimana, i telegiornali ci martellavano il cervello con le
crisi isteriche di Renzi. Renzi era dappertutto: esco dal governo, non esco dal governo, faccio la crisi, faccio soltanto mezza crisi, ne parlo ma non la faccio, eccetera eccetera. E naturalmente gli italiani si preoccupavano di quello: oh Dio, Renzi farà la crisi?
Renzi non la farà? Renzi la farà solo metà? Ora che è arrivato il
coronavirus, Renzi ha perso le prime pagine dei telegiornali, e di colpo
il problema non esiste più (almeno, un piccolo regalo questo
coronavirus ce l’ha fatto).
Questa
è la dimostrazione palese che sono loro a decidere di cosa dobbiamo
preoccuparci e di cosa no. Giustamente, qualcuno li chiama “i padroni
del discorso”. Qui però si apre il vero quesito: questi “padroni del
discorso” sono dei signori in carne ed ossa, con un nome ed un cognome
precisi, oppure c’è qualcosa di più sottile che determina questa
dinamica di controllo mentale della popolazione? Nella prima ipotesi ci
sono dei signori con nome e cognome, che ogni mattina alzano un telefono
e mandano i loro diktat alle redazioni di tutti i telegiornali. «Mi
raccomando, oggi parlate insistentemente di X e di Y, ed evitate invece
assolutamente di parlare di Z. Casomai se proprio dovete accennare a Z,
relegatelo ad una notiziola negli ultimi minuti del telegiornale».
Questa è la dinamica che viene più facile da immaginare quando si pensa
ai padroni del discorso. C’è qualcuno che decide, qualcuno che esegue, e
un’intera nazione che subisce queste decisioni. Ma c’è anche un’altra
ipotesi, come dicevo, più sottile e meno grossolana. Ovvero che questi
meccanismi entrino in funzione da soli, automaticamente, senza che
nessun “grande vecchio” debba impartire ogni mattina ordini di alcun
tipo.
In
fondo, è lo stesso sistema televisivo che si basa su un meccanismo
molto semplice per sopravvivere: essendo i costi della televisione
altissimi, per sopravvivere la televisione ha bisogno di pubblicità. E
per ottenere pubblicità, devi avere i numeri dell’audience. Se poche
persone ti guardano, la pubblicità sarà vista da poche persone, e quindi
i tuoi spazi pubblicitari porteranno a casa cifre insufficienti. Se fai
trasmissioni di grande successo, come quelle di Barbara D’Urso, avrai
delle audience altissime, e gli spazi pubblicitari al loro interno
varranno oro. Lo ripeto, la televisione è un meccanismo molto semplice.
Si basa sulla ricerca dell’audience, e pur di ottenere l’audience vale
assolutamente tutto. Naturalmente, i direttori di rete e i direttori di
testata non vengono scelti in base a delle particolari qualità
personali, come la cultura o il senso di responsabilità sociale, ma
vengono scelti per la loro capacità (intuito) di individuare le formule e
i format vincenti per portare a casa la massima audience possibile con i
loro programmi.
Naturalmente,
la competizione fra le varie reti televisive – e anche la competizione
all’interno delle stesse reti televisive – è feroce. Il direttore di
rete o il direttore di un programma valgono solo ed esclusivamente in
base ai numeri di audience che riescono a fare. A riprova di questa
ricerca esasperata dell’audience abbiamo l’ultimo festival di Sanremo. I
titoli dei giornali non parlavano di “chi ha cantato” o di “come ha
cantato”, ma parlavano principalmente del grande successo di share da
parte della Rai. La vera notizia che ci resta di questo Sanremo è che il
festival ha raggiunto il 52% degli ascolti (io il vincitore manco me lo
ricordo). Ecco quindi che sono gli stessi direttori di rete, gli stessi
preparatori dei palinsesti e gli stessi direttori dei programmi e dei
telegiornali a vivere costantemente con l’incubo di portare a casa il
massimo di audience possibile. Altrimenti il loro posto rischia di
saltare.
Ora,
provate a mettervi dalla testa di un direttore di telegiornale
qualunque. Vi svegliate ogni mattina, e la vostra prima preoccupazione è
“quali notizie posso dare oggi?”. È chiaro che quando c’è in giro un
evento come il coronavirus non c’è nemmeno discussione. Butti Renzi nel
cesso in due minuti, e ti lanci a corpo morto sulla nuova pandemia.
Quanti sono gli appestati? Dove sono localizzati? Quanto rischio c’è per
le zone confinanti? E di chi è la colpa? Perché non abbiamo potuto
prevenirlo? Eccetera eccetera. È chiaro che una volta che hai addentato
l’osso continui a masticarlo finché non lo hai spolpato del tutto. Ogni
minuto di televisione che riesci a mandare in onda su un argomento di
questo genere è un minuto che vale oro dal punto di vista dell’audience.
Quella del giornalista diventa rapidamente una ricerca morbosa di
qualunque cosa che possa tenere incollato allo schermo lo spettatore. E
come tutti sappiamo non c’è nulla di più potente della paura per
attrarre l’attenzione di chiunque.
Siamo
quindi di fronte non a un “grande vecchio” che decide ogni mattina di
cosa parlare, ma di un sistema stesso che è stato costruito in modo tale
da non poter che dare all’infinito lo stesso risultato. Pensate, in
fondo, che meraviglia: aver creato una macchina che controlla la
popolazione, senza che vi sia nessuno di particolare che la gestisce. È
la macchina stessa, proprio per come è costruita, che porterà
inevitabilmente sempre allo stesso risultato. Potrai cambiare
all’infinito le persone al suo interno, ma la macchina rimane identica a
se stessa, e continuerà a funzionare perfettamente indipendentemente da
chi vada ad abitare, in un periodo nell’altro, le sue stanze di
comando. Questa è la vera schiavitù: non siamo schiavi delle persone, ma
del sistema stesso che abbiamo costruito.
(Massimo Mazzucco, “I padroni del discorso”, da “Luogo Comune” del 25 febbraio 2020).
In questi giorni di panico generalizzato si parla molto
dell’influenza che ha la televisione sui nostri comportamenti. È
evidente a tutti che se in televisione si parla insistentemente di un
certo argomento, quello diventa automaticamente l’argomento più
importante nella mente dei cittadini. Se in televisione si parla
costantemente di virus, di contagio e di persone in quarantena, è chiaro
che la gente corre dappertutto a cercare mascherine e saccheggia i
supermercati per prepararsi ad una eventuale prigionia in casa propria.
Una riprova di questo la si può avere facendo un semplice “test al
contrario”: fino alla scorsa settimana, i telegiornali ci martellavano
il cervello con le crisi isteriche di Renzi. Renzi era dappertutto: esco dal governo, non esco dal governo, faccio la crisi, faccio soltanto mezza crisi, ne parlo ma non la faccio, eccetera eccetera. E naturalmente gli italiani si preoccupavano di quello: oh Dio, Renzi farà la crisi?
Renzi non la farà? Renzi la farà solo metà? Ora che è arrivato il
coronavirus, Renzi ha perso le prime pagine dei telegiornali, e di colpo
il problema non esiste più (almeno, un piccolo regalo questo
coronavirus ce l’ha fatto).