18 marzo 2020

«Se fossimo partiti tutti prima, il contagio quanto meno sarebbe stato più diluito.

In poche parole: nel lodigiano, zona a bassa presenza industriale, la Confindustria ha acconsentito alla “zona rossa”. A Brescia e Bergamo, cuore dell'industria metalmeccanica, i padroni hanno imposto la legge del profitto sulla salute della popolazione e innanzitutto dei propri lavoratori. La diffusione concentrata del contagio in quelle valli e negli stessi luoghi di produzione, con un numero impressionante di morti, hanno dunque una precisa responsabilità: i padroni e i governi (nazionale e regionale) che si sono inchinati alla loro volontà. Lo dice di fatto, nero su bianco, il sindaco di Brescia.
Nessuno ha da dir nulla, nel vasto mondo dell'informazione, su una denuncia così clamorosa, autorevole e gravissima? Tante vite potevano essere salvate se si fossero applicate le misure osteggiate dai padroni. Tante vite sono state stroncate dal loro cinismo.
Ecco, quando il PCL parla della dittatura del profitto e dei suoi crimini parla esattamente di questo. Che è poi la ragione di quella prospettiva di rivoluzione per cui ci battiamo.
#Coronavirus: cosa rivela l'intervista clamorosa del sindaco di Brescia
«Se fossimo partiti tutti prima, il contagio quanto meno sarebbe stato più diluito. Qui è arrivato da Lodi, da Cremona. Come a #Bergamo. Si tratta di una zona molto industriale, molto commerciale, dove la gente si sposta rapidamente. Noi, come dodici sindaci dei capoluoghi lombardi, avevamo chiesto sia alla Regione che al governo di chiudere le attività produttive, tenendo aperte solo le filiere di igiene per la casa e quella alimentare. Oltre alla manutenzione dei servizi pubblici essenziali. Il numero dei lavoratori delle fabbriche è molto elevato... Fontana ha sempre mantenuto una posizione severa, ma il peso del mondo industriale sia su Roma che su #Milano si è sentito.»
Sono le parole di Del Bono (PD), sindaco di Brescia, in una intervista rilasciata martedì 17/03 a Il Fatto Quotidiano. Il contenuto è inequivocabile e rivelatore: il “mondo industriale” del bresciano e del bergamasco, col suo “peso”, ha esercitato una pressione decisiva sul governo nazionale e regionale affinché nelle proprie zone si continuasse a produrre, escludendole dalla zona rossa applicata con successo a #Codogno e nel lodigiano. E questo nonostante gli stessi sindaci della Lombardia avessero chiesto di sospendere la produzione per contenere il contagio.
In poche parole: nel lodigiano, zona a bassa presenza industriale, la Confindustria ha acconsentito alla “zona rossa”. A #Brescia e Bergamo, cuore dell'industria metalmeccanica, i #padroni hanno imposto la legge del profitto sulla salute della popolazione e innanzitutto dei propri #lavoratori. La diffusione concentrata del contagio in quelle valli e negli stessi luoghi di produzione, con un numero impressionante di morti, hanno dunque una precisa responsabilità: i padroni e i governi (nazionale e regionale) che si sono inchinati alla loro volontà. Lo dice di fatto, nero su bianco, il sindaco di Brescia.
Nessuno ha da dir nulla, nel vasto mondo dell'informazione, su una denuncia così clamorosa, autorevole e gravissima? Tante vite potevano essere salvate se si fossero applicate le misure osteggiate dai padroni. Tante vite sono state stroncate dal loro cinismo.
Ecco, quando il #PCL parla della dittatura del profitto e dei suoi crimini parla esattamente di questo. Che è poi la ragione di quella prospettiva di #rivoluzione per cui ci battiamo.

15 marzo 2020

Un mio messaggio, a nome del Partito Comunista dei Lavoratori, a tutte le lavoratrici e i lavoratori. La vostra lotta è la nostra lotta!







Messaggio di Marco Ferrando, portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori, a tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Il protocollo d'intesa non tutela gli operai ma i capitalisti.
La vostra lotta è la nostra lotta! Sciopero generale!
Gli #scioperi operai tra martedì e venerdì hanno espresso una carica combattiva importante, nella sorpresa generale. Lo stesso incontro nella notte di venerdì tra sindacati, padroni e governo, e il relativo protocollo, ha lo scopo di sedare il conflitto o di imbrigliarlo in una cornice concordata. Ma non sarà facile né tanto meno scontato.
Il #controllo operaio sulle condizioni del lavoro è diventato un terreno centrale dello scontro di classe. Non è un terreno nuovo. Cinquant’anni fa l'autunno caldo operaio, dopo una lunga stagione di sconfitte, rivendicò il controllo della salute in fabbrica. Fu, all'epoca, una delle principali rivendicazioni dei consigli dei lavoratori. Cinquant’anni dopo, il dramma del contagio del coronavirus ripropone con forza, in un quadro diverso, lo stesso tema.
La #salute in fabbrica non può essere affidata né ai padroni né al governo. Sono i lavoratori e le lavoratrici che debbono verificare autonomamente le condizioni sanitarie del proprio lavoro in fabbrica. Queste condizioni oggi non ci sono, come attesta l'esperienza generale quotidiana, né possono essere garantite da un protocollo di cartapesta.
Per questo è necessaria la #lotta. Per questo è necessario lo sciopero. Per questo è necessario unificare il movimento di sciopero che si è sviluppato nelle fabbriche, spesso spontaneamente, in un vero sciopero generale. Non uno sciopero simbolico e rituale, ma uno sciopero capace di durare sino a che nelle fabbriche e nelle aziende vi siano accertate condizioni di sicurezza per i lavoratori. E l'accertamento dev'essere affidato ai #lavoratori stessi, attraverso i loro organismi sindacali fiduciari, a partire da RSU e RLS.
Unificante dev'essere anche la piattaforma di lotta dello sciopero: blocco dei licenziamenti, no alle ferie obbligate, garanzia del 100% del salario per i lavoratori, controllo operaio sulla condizione sanitaria in fabbrica (dispositivi, sanificazione delle postazioni, igienizzazione di mense e spogliatoi, riorganizzazione dei turni, della produzione e del trasporto).
A pagare il conto del coronavirus siano i capitalisti, non i lavoratori e le lavoratrici!