28 maggio 2019

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Sui veri risultati italiani delle Europee 2019. Non facciamoci abbagliare da percentuali di percentuali


FONTE: WUMINGFOUNDATION.COM
[Stamane abbiamo pubblicato su Twitter una catena di tweet coi nostri primi spunti di riflessione sul risultato elettorale. Abbiamo deciso di pubblicarli anche qui, in forma di articolo, con alcune modifiche e integrazioni. Buona lettura. WM]
Un solo esempio per far capire quanto l’astensione al 44% distorca la “fotografia” e renda i ragionamenti sulle percentuali dei votanti – anziché del corpo elettorale – del tutto sballati: alle politiche del 4 marzo 2018 il PD prese 6.161.896 voti. Alle Europee di ieri, 6.045.723.
Non c’è nessun «recupero», sono oltre 116.000 voti in meno rispetto all’anno scorso. L’iperattivismo polemico di Carlo Calenda e la retorica da Madre di Tutte le Battaglie non hanno ottenuto nulla salvo un effimero superare una «soglia psicologica» che non ha corrispondenza nel reale.
Per chi dice che non vanno comparate elezioni diverse, ecco il dato delle precedenti Europee: 11.203.231. In cinque anni il PD ha perso oltre cinque milioni di voti, eppure, in preda all’effetto allucinatorio da percentuali “drogate” dall’astensione, la narrazione è quella del «recupero», della «rimonta», del «cambio di passo».
Se proprio si vuole ragionare in termini di percentuali, ragionando sul 100% reale vediamo che la Lega ha il 19%, il PD il 12%, il M5S il 9,5%. Sono tutti largamente minoritari nel Paese.
Rimuovere l’astensione rende ciechi e sordi a quel che si muove davvero nel corpo sociale. In Italia più di venti milioni di aventi diritto al voto ritengono l’attuale offerta politica inaccettabile, quando non disperante e/o nauseabonda.
Dentro l’astensione ci sono riserve di energia politica che, quando tornerà in circolazione, scompaginerà il quadro fittizio che alimenta la chiacchiera politica quotidiana, mostrando che questi rapporti di forza tra partiti sono interni a un mondo del tutto autoreferenziale.
Ora facciamo un esempio concreto di come rimuovere l’astensione abbia prodotto un effetto abbagliante e condotto a sfracellarsi chi si era fatto abbagliare.
Alle precedenti Europee il PD di Renzi prese il 40,81% del 57,22%, cioè il 23,3% reale. Ma tutti (s)ragionarono e discussero come se quello fosse «il 40% degli italiani». Renzi si convinse di avere quel consenso nel Paese, anche perché glielo ripetevano tutti gli yes-men e le yes-women di cui si era circondato. La sua politica consistette nello sfidare tutto e tutti, nel tentare ogni genere di forzatura, disse che avrebbe usato il «lanciafiamme» e quant’altro. Si rese talmente inviso nel corpo sociale reale del Paese che a un certo punto non fu più in grado di parlare in nessuna piazza, dovette annullare frotte di comizi, scappare dal retro ecc. Era la stagione di #Renziscappa.

La mappa di #Renziscappa, 2014-2016. Clicca per vedere la storymap.
Vi fu chi fece notare che quelle contestazioni erano un sintomo di qualcosa, che bisognava porvi attenzione. La risposta, invariabile, era: «Sono episodi che non dicono niente, Renzi ha il 40%, resterà al governo per 20 anni.» Intanto, però, il dissenso montava e convinceva milioni di persone a tornare a votare per votargli contro nel referendum costituzionale del 2016.
A quel referendum votarono oltre cinque milioni di persone in più rispetto alle Europee, e il Sì fu sconfitto con sei milioni di voti di distacco, tondi tondi.
Vale anche in senso inverso, e un esempio lo abbiamo avuto proprio ieri: l’astensione ha causato un vero e proprio tracollo del M5S. Cinque milioni in meno rispetto alle politiche dell’anno scorso. Il M5S aveva intercettato una parte dell’astensione e anche di spinta dal basso di movimenti sociali, ma ha ben presto dimostrato la propria inconsistenza, deludendo oltremisura, e molti che l’avevano votato se ne sono andati, plausibilmente senza dare il voto a nessun altro.
Questo per dire che:
1. Qualunque discorso sul consenso politico nel Paese che non tenga conto della «variabile impazzita» – nel senso di imprevedibile – rappresentata dalle energie “congelate” nell’astensione, e dunque dal flusso alternato voto/non-voto, è un discorso campato in aria.
2. Le piazze, le contestazioni, le manifestazioni di dissenso contano eccome, sovente sono più reali dell’allucinazione da percentuale di percentuale. Per questo ha senso continuare a monitorare #Salviniscappa. Teniamo conto che soltanto a maggio ci sono stati 21 episodi significativi.
3. Ripetere il cliché «chi non vota sceglie di non contare» è lunare, per due ragioni: ■ a. non-voto non equivale per forza a passività, milioni di persone non votano più ma fanno lotte sociali, vertenze sindacali, volontariato, stanno nell’associazionismo, sono cittadine e cittadini attivi, molto più attivi di chi magari non fa nulla se non mettere una croce su una scheda ogni tanto per poi impartire lezioncine; ■ b. da un momento all’altro costoro potrebbero tornare a usare anche il voto per scompigliare il quadro.
Salvini ha il 19% reale. Sono nove milioni di persone. In Italia siamo sessanta milioni. Il corpo elettorale attuale conta circa 51 milioni di persone. Salvini non ha con sé «gli italiani». Anche se guadagna voti e ha il consenso di un elettore su cinque, rimane largamente minoritario. Ma se guardiamo a quel 34% – ancora: è la percentuale di una percentuale – rischiamo di non capirlo.
[Un inciso: guardando troppo a Salvini che festeggia rischiamo di non capire nemmeno cosa stia succedendo in Europa, dove, al netto di singoli exploit come quello di Le Pen e Orban, la tanto paventata «ondata nera» non c’è stata e la sorpresa principale è, sulla scia delle mobilitazioni giovanili contro il disastro climatico, l’aumento del voto a forze percepite come più battagliere sul piano delle lotte ambientali e di difesa dei territori. Ora a Strasburgo i Verdi hanno dodici seggi in più delle estreme destre, 70 contro 58.]#Salviniscappa può essere un buon sismografo nei prossimi mesi. L’effetto-shock (ingiustificato) del «34%» finirà, il conflitto sociale no. Figuredisfondo ha quasi pronta la nuova mappa, per ora in versione beta.
Cercare alternative nelle urne senza costruire alternative sociali è insensato, è il classico voler costruire la casa dal tetto. Anzi, dal tettuccio del comignolo.
Per costruire alternative sociali bisogna guardare alle lotte e, come diceva quel tale, «saperci fare col sintomo».

Fonte: https://www.wumingfoundation.com/giap/

27 maggio 2019

Sul voto alle europee del 26 maggio



europee

Le elezioni europee segnano complessivamente, al di là delle specificità nazionali, l'indebolimento dei partiti tradizionali PPE e PSE, a vantaggio o delle destre reazionarie (Gran Bretagna, Francia, Italia) o dei cosiddetti partiti verdi, che conoscono quasi ovunque una forte affermazione (a partire da Germania e Francia). Le formazioni a sinistra delle vecchie socialdemocrazie registrano ovunque una flessione o marginalizzazione. È un dato d'insieme che riflette l'arretramento dei livelli di mobilitazione e coscienza della classe lavoratrice, di cui portano primaria responsabilità i gruppi dirigenti della sinistra politica e sindacale, in ogni paese, e su scala continentale.

In Italia questo scenario europeo conosce la traduzione peggiore.
Il governo reazionario M5S-Lega stabilizza complessivamente il proprio consenso, mentre il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e M5S premia la componente più reazionaria del governo stesso. Lo sfondamento della Lega di Salvini attorno alla bandiera “legge e ordine” e alla esibizione del rosario (Dio, Patria, Famiglia) ha una dimensione nazionale impressionante. Il netto rafforzamento di Fratelli d'Italia completa il quadro. A sua volta, il PD liberale di Zingaretti ha fatto leva sulla contrapposizione a Salvini per recuperare settori di elettorato di sinistra allontanati dal renzismo e rilanciare una prospettiva di ricomposizione del centrosinistra sotto la propria egemonia. La pesantissima sconfitta del M5S, con perdita elettorale in tutte le direzioni (Lega, PD, astensione in particolare al Sud) è la risultante di questa dinamica generale.
Il governo Conte è per un verso rafforzato dal voto, ma per un altro è minato dall'obiettivo restringimento dello spazio negoziale tra M5S e Lega.

A sinistra del PD, si registra la clamorosa débâcle della lista La Sinistra, che ha subìto il duplice effetto del voto utile contro Salvini andato al PD e dell'attrazione della lista Verde a livello di opinione. La rimozione del riferimento classista, le perduranti compromissioni col PD (nelle amministrazioni locali), la compromissione continentale della bandiera di Tsipras sotto il peso delle politiche di austerità, hanno indebolito la linea di demarcazione della sinistra riformista dalla borghesia liberale e dall'ambientalismo progressista. Il voto ha registrato questo fatto. Mentre il PC stalinista di Marco Rizzo ha capitalizzato abusivamente il richiamo comunista in settori di avanguardia, nel momento stesso in cui le leggi elettorali reazionarie hanno impedito la presenza del Partito Comunista dei Lavoratori.

Lo scenario italiano ripropone una volta di più due esigenze complementari.

La prima è la ricostruzione e rilancio di una opposizione di classe e di massa che possa unificare le lotte di resistenza (sociali, antirazziste, antifasciste, femministe, ambientaliste) contro la deriva reazionaria in atto e dare ad esse una rilevanza politica. Contro ogni logica di frammentazione, occorre lavorare in ogni sede per il fronte unico contro la reazione, a partire dall'ingresso sulla scena del movimento dei lavoratori, su base di massa, attorno a una propria piattaforma di lotta riconoscibile. Gli appelli congiunti di CGIL-CISL-UIL con Confindustria a favore dell'Unione Europea, la revoca confederale dello sciopero della scuola del 17 maggio, sono stati non solo un tradimento delle ragioni del lavoro ma un regalo politico al governo e a Salvini. Solo la ricostruzione di un fronte sociale di massa può alzare un argine contro le forze reazionarie. Solo l'esperienza di una lotta generale può liberare i lavoratori stessi dall'influenza delle suggestioni populiste.

La seconda esigenza è la costruzione di un partito indipendente dell'avanguardia di classe attorno a un programma anticapitalista e rivoluzionario. Un partito che sappia trarre un bilancio dell'esperienza fallimentare delle sinistre riformiste, che rompa con ogni pratica o progetto di compromissione coi partiti liberali borghesi, costruisca in ogni lotta la prospettiva della rivoluzione e del governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa. Proprio la radicalità della deriva reazionaria richiama la necessità di una alternativa radicale al capitalismo, alla sua crisi, alla sua barbarie. I settori d'avanguardia non hanno bisogno dell'ennesima riproposizione di cartelli riformisti senza futuro, o di finzioni movimentiste, o delle cariatidi ideologiche dello stalinismo. Hanno bisogno di un partito di classe rivoluzionario. La costruzione controcorrente del PCL si muove ostinatamente in questa direzione.
Marco Ferrando