MASSONI ED EX, ALL'ATTACCO. CI SERVIVA ORA UN NUOVO PARTITO DI MASSONI PENTITI
Magaldi: povero Salvini, se ora ha paura dei referendum
08/1 •
Chi
glielo spiega, a Matteo Salvini, che non porta fortuna mettersi contro i
referendum? Quello di fine 2016 costò la vita, politicamente, a Matteo
Renzi – che peraltro l’aveva proposto, tirandosi la zappa sui piedi.
Stavolta a riparlarne è il Movimento 5 Stelle, sempre più nell’angolo a
causa dell’iper-attivismo del leader della Lega. Attingendo al serbatoio
dei loro tradizionali cavalli di battaglia (molti dei quali messi in
soffitta: vaccini, euro, spese militari, sanzioni alla Russia), i 5
Stelle ora riesumano l’istituto referendario come strumento di democrazia
diretta. L’idea è semplice: valorizzare il voto, abbassando il quorum
necessario per rendere valida la consulazione. Tutto liscio? Nemmeno per
idea: a mettersi di traverso è proprio Salvini, che – via Twitter – fa
sapere di non fidarsi di un’espressione popolare troppo libera. Nel
senso: se diventasse facilissimo indire referendum, le decisioni
importanti potrebbero dipendere dall’iniziativa di pochissimi. Una
posizione che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt,
accoglie come sbalorditiva: ma come, proprio Salvini non si era appena
proclamato paladino del nuovo sovranismo populista? Che succede, ora?
Anche il capo della Lega avrebbe paura del popolo, come un Mario Monti
qualsiasi?
La stagione della pazienza politica
è finita, annuncia Magaldi in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti
di “Border Nights”: dopo la resa a Bruxelles, il governo gialloverde (e
Salvini in particolare) sembra non riuscire più a farne una giusta.
Premessa: a Salvini, dice Magaldi, va riconosciuto di esser riuscito a
trasformare la Lega Nord regionalista in un partito serio, con un
progetto nazionale, e per giunta con una traiettoria post-keynesiana. Lo
stesso Salvini ha candidato e poi piazzato alla guida delle commissioni
finanza
di Camera e Senato due economisti come Claudio Borghi e Alberto Bagnai,
contrarissimi al falso paradigma del rigore Ue. Ma perché poi scivolare
su una materia delicata come il “decreto sicurezza”, e addirittura
manifestare timore per l’apertura dei 5 Stelle verso referendum più
popolari e facili da indire? «Noi del Movimento Roosevelt – chiarisce
Magaldi – siamo favorevoli, da sempre, a referendum addirittura senza
quorum. Qualcuno – aggiunge – dovrebbe spiegare a Salvini che anche i
partiti come il suo dovrebbero esserlo: senza il vincolo del quorum, il
risultato sarebbe valido in ogni caso. E questo, a maggior ragione,
dovrebbe motivare i partiti, inclusa la Lega, a spronare i loro elettori
a partecipare a un confronto autenticamente popolare e democratico».
«Andate
al mare», raccomandò Craxi nel ‘91, sperando di far naufragare – per
mancanza di quorum – il referendum promosso da Mario Segni per
introdurre il sistema elettorale maggioritario, poi alla base della
sciagurata Seconda Repubblica. Se c’è una cosa che da 25 anni ci è stata
tolta, insiste Magaldi, è proprio la democrazia sostanziale. E il referendum è uno strumento fondamentale per riavvicinare i cittadini alla politica: un irrinunciabile esercizio di democrazia diretta, prezioso per migliorare la stessa democrazia
rappresentativa. Possibile che non se ne renda conto, il sovranista
Salvini? Forse, aggiunge Magaldi, in questi giorni è troppo occupato a
difendersi dal coro di insulti piovutigli addosso da tanti sindaci e
altrettanti zombie dell’ex-sinistra, che lo accusano di cannibalizzare i
poveri migranti, discriminandoli con ferocia “fascista” e xenofoba. «In
alcuni aspetti quel decreto non piace neanche a me, laddove limita la
libertà di protesta», premette Magaldi, che però aggiunge: «Come mai gli
accusatori di Salvini tacciono, di fronte al silenzio di Mattarella? Il
capo dello Stato poteva benissimo non firmarlo, quel decreto,
rinviandolo alle Camere e invitando il Parlamento a ridiscuterlo.
Mattarella non l’ha fatto. Ma i tanti sindaci anti-Salvini si guardano
bene dal rinfacciarglielo».
Un’osservazione,
questa, che non sfiora nemmeno lontanamente i media mainstream: la
cattiva informazione è ormai un’emergenza nazionale, secondo Magaldi,
che annuncia «un 2019 di fuoco» grazie alle iniziative editoriali che il
Movimento Roosevelt si prepara a mettere in campo. «Tra le altre cose,
la nuova editrice che sta nascendo pubblicherà libri in più lingue: al
mainstream sarà meno facile farli passare sotto silenzio, come è stato
per il mio bestseller “Massoni”», uscito nel 2014 e letteralmente
oscurato, senza cioè che nessun talksow si sia mai sognato di invitare
l’autore. E a proposito: l’ostracismo continua. Su “Rolling Stone”, in
un articolo sull’economista Antonio Maria Rinaldi, Steven Forti
definisce Magaldi «lo scrittore complottista fissato con il pericolo
massonico che cerca di farsi pubblicità con il vittimismo dicendo di
essere censurato dai mass media». In due righe, un capolavoro comico:
Magaldi è notoriamente ostile al complottismo, in più è orgogliosamente
massone. Se Forti l’avesse letto, quel libro, avrebbe scoperto che il
pericolo di cui parla, semmai, è rappresentato da una parte della
massoneria internazionale. Quanto al vittimismo, Magaldi si mette a
ridere: «Sono stato zitto per quattro anni, evitando di protestare.
Tutti i potenti d’Italia l’hanno letto, il mio libro, e così pure i
giornalisti, ma le televisioni non ne hanno parlato mai, neppure per
sbaglio. Fate voi».
Chi glielo spiega, a Matteo Salvini, che non porta fortuna mettersi
contro i referendum? Quello di fine 2016 costò la vita, politicamente, a
Matteo Renzi – che peraltro l’aveva proposto, tirandosi la zappa sui
piedi. Stavolta a riparlarne è il Movimento 5 Stelle, sempre più
nell’angolo a causa dell’iper-attivismo del leader della Lega.
Attingendo al serbatoio dei loro tradizionali cavalli di battaglia
(molti dei quali messi in soffitta: vaccini, euro, spese militari,
sanzioni alla Russia), i 5 Stelle ora riesumano l’istituto referendario
come strumento di democrazia
diretta. L’idea è semplice: valorizzare il voto, abbassando il quorum
necessario per rendere valida la consultazione. Tutto liscio? Nemmeno
per idea: a mettersi di traverso è proprio Salvini, che – via Twitter –
fa sapere di non fidarsi di un’espressione popolare troppo libera. Nel
senso: se diventasse facilissimo indire referendum, le decisioni
importanti potrebberodipendere dall’iniziativa di pochissimi. Una posizione che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, accoglie come sbalorditiva: ma come, proprio Salvini non si era appena proclamato paladino del nuovo sovranismo populista? Che succede, ora? Anche il capo della Lega avrebbe paura del popolo, come un Mario Monti qualsiasi?
Articoli Recenti
Contro Salvini i Tg, Papa Mattarella e il presidente Bergoglio
08/1 • idee •
Apro
le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i
giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i
populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso.
Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le
notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film.
Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli
ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre
dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni
sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a
nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia.
Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata
dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico
dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo,
l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti
nazisti, i frullati di storia
a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che
valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono
state le categorie protette.
Sulla
rivolta dei sindaci populisti – Leoluca Orlando e Giggino de Magistris
sono due tribuni della plebe, e nasce populista pure l’ex grillino e
neo-furbino Pizzarotti – l’informazione nazionale, la rappresentazione
pubblica, è dalla parte loro, vede il mondo coi loro occhi, col loro
linguaggio. Il ministro dell’interno è trattato come un esterno, un
cocciuto nemico dell’umanità che oppone ai sindaci non una legge votata
dal Parlamento ma – dicono molti Tg e rassegne stampa – “un muro”, che è
la parola infame nel gergo mediatico-ideologico per bollare tutti i
Trump e i trumpettieri del pianeta. Penso ai tempi bui in cui c’era la
lottizzazione, il manuale Cencelli, la spartizione. In quel tempo c’era
un criterio non detto ma praticato che grosso modo era questo: un terzo
degli spazi va al governo, un terzo alla maggioranza che lo sostiene e
un terzo all’opposizione. Regola becera ma a suo modo equilibrata,
dosaggio chimico in uso soprattutto nell’ammiraglia della Rai che di
fatto dava due terzi di rilievo e di ragione a chi governa e un terzo a
chi si oppone. Poi arrivò Renzi e riuscì a fare perfino peggio della
lottizzazione, tutto venne renzizzato. Ora, sarò un maldestro spettatore
ma a me pare che, salvo fatti e sfumature, l’intonazione generale è la
stessa di prima, la linea è rimasta quella (si salva un po’ il Tg2).
La
presenza delle opposizioni in video è ampia e articolata, quella della
maggioranza è didascalica e minore. E’ fuori dal racconto. Il dosaggio
delle notizie e delle facce a malapena è cambiato perché la realtà di
fatto è cambiata: ma la rappresentazione è sempre la stessa. Gli
oppositori sono dentro il racconto, i governativi lo interrompono.
Figurano come Paolini, il disturbatore dei Tg. Certo, non si cambia
dall’oggi al domani. Certo, se cambi i vertici, il personale poi resta
sempre lo stesso, la stessa provenienza, lo stesso sindacato, la stessa
trafila di carriera e la stessa ideologia. Certo, anche le figure
nominate sono più o meno dell’area di prima, non vengono dalla luna,
hanno lo stesso pedigrèe catto-vago-sinistrese; ma questo succede se vai
al governo sprovvisto di una classe dirigente, tu e il popolo o la rete
e in mezzo niente… «Ho preso il Tg e la rete ma non so cosa mettermi
addosso». Sulla Tv in generale, è normale poi che devi sciropparti le
stesse robe di sempre, le fiction, i programmi preconfezionati e decisi
in epoca antecedente. Siamo ancora sotto effetto dei farmaci e delle
indigestioni precedenti. D’altra parte per essere realmente alternativo
devi avere una tua interpretazione storica, una visione culturale… Se
non ce l’hai soccombi, ti limiti a sparare tweet e video.
Al
governo ci sono i marziani, o meglio i marziani e i saturniani insieme,
e invece la rappresentazione del paese è la stessa di prima. Cambia
solo l’annuncio dei provvedimenti di governo: ogni giorno una versione
diversa delle pensioni, del reddito di cittadinanza, di quota 100 e roba
varia. L’effetto comico è che agli occhi dei Tg, perfino il Pd sembra
una cosa viva, seria, unita. Quanto a lungo potremo vivere con questo
schema bipolare, ma nel senso del disturbo psichiatrico e non
dell’alternanza democratica? Quanto potrà durare questa schizofrenia tra
la realtà e la rappresentazione? Il governo da una parte, l’egemonia
dall’altra. Non è una preoccupazione di ordine elettorale, perché più le
fabbriche del pregiudizio stampano moneta falsa più la gente va in
direzione opposta. Semmai ci preoccupa proprio l’effetto che producono,
la diffidenza della gente verso i media, il disgusto e il fastidio,
l’alibi per non leggere, non ascoltare, non documentarsi, tanto è sempre
la stessa minestra. Preoccupa un paese dove l’ideologia oscura i fatti e
deforma la verità; che non sono mai solo da una parte.
(Marcello Veneziani, “Tutto come prima”, da “La Verità” del 4 gennaio 2019: articolo ripreso sul blog di Veneziani).
Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la
radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al
governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo
stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano
le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film.
Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli
ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre
dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni
sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a
nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia.
Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata
dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico
dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo,
l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti
nazisti, i frullati di storia
a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che
valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono
state le categorie protette.Appello al governo: vi regalo la prevenzione dei terremoti
07/1 • segnalazioni •
Appello al governo italiano: Salvini e Di Maio se la sentono di
prendere finalmente in considerazione il sistema di prevenzione sismica
collaudato da Giampaolo Giuliani, l’ex tecnico dell’istituito di
astrofisica del Gran Sasso che nel 2009 previde il catastrofico
terremoto dell’Aquila? La notizia: pur di salvare vite umane, Giuliani
regalerebbe volentieri allo Stato il suo rivoluzionario brevetto, per il
quale ha ricevuto offerte milionarie. Si tratta di un dispositivo di
rilevazione e allertamento, installato con successo in mezzo mondo,
dall’America all’Asia. Ha dell’incredibile il fatto che una scoperta
italiana venga completamente ignorata in patria, dove la terra ha
ripreso a tremare – dall’Abruzzo alla Sicilia. «Trovo vergognoso che
ancora oggi i telegiornali sostengano impunemente che i terremoti non si
possano prevedere», protesta Gianfranco Pecoraro (Carpeoro), dirigente
del Movimento Roosevelt. Carpeoro ha rilanciato l’offerta salva-vita di
Giuliani in una diretta web-streaming su YouTube il 6 gennaio, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, in collegamento con lo stesso Giuliani.Ferrajoli: decreto Salvini, disobbedire è un dovere morale
07/1 • idee •
Il
rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto
ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza e vale a
svelarne il carattere «disumano e criminogeno», secondo le parole del
sindaco Orlando. E rappresenta una forte presa di posizione
istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo, per
chi non condivide statalismo etico e gius-positivismo ideologico, cioè
la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della
morale sul diritto quale che sia, che la disobbedienza civile alla legge
palesemente ingiusta è un dovere morale. Ovviamente, al prezzo delle
conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti. Ma qui
non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza.
L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere
incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali
delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e
neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte
alla Corte Costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una
pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile.
Esso
è previsto nel corso di un giudizio, qualora il giudice ritenga la
questione non manifestamente infondata e, inoltre, su iniziativa di una
Regione, qualora essa ritenga che la legge statale o una sua parte
invada la sfera delle sue competenze. Ci sono pertanto tre strumenti di
tutela dei diritti fondamentali che potranno essere utilizzati contro
l’applicazione di questa legge disumana e immorale. Il primo è affidato
all’iniziativa degli stessi migranti, i cui diritti sono dalla legge
vistosamente lesi. Consiste nell’attivazione della procedura d’urgenza
prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile, secondo il
quale «chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente
per far valere il suo diritto in via ordinaria questo sia minacciato da
un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al
giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze,
più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione
sul merito».
In
questo caso il «provvedimento d’urgenza» che i migranti possono
chiedere al giudice per opporsi alla minaccia di «un pregiudizio
imminente e irreparabile» ai loro diritti fondamentali è precisamente
l’eccezione di incostituzionalità che lo stesso giudice ha il potere
di promuovere davanti alla Corte Costituzionale contro le norme del
decreto che ledono o minacciano tali diritti, tutti costituzionalmente
stabiliti. Il secondo strumento è affidato all’iniziativa delle Regioni e
richiede la deliberazione delle rispettive giunte regionali. È infatti
indubbio che il decreto cosiddetto «sicurezza», sopprimendo il permesso
di soggiorno per motivi umanitari, ha trasformato decine di migliaia di
migranti in clandestini irregolari, privandoli di fatto delle garanzie
dei loro diritti fondamentali, a cominciare dai diritti alla salute e
all’istruzione. Ebbene, sia l’istruzione che la tutela della salute,
secondo il terzo comma dell’articolo 117 della nostra Costituzione, sono
«materie di legislazione concorrente» tra Stato e Regioni. Le norme del
decreto che direttamente o indirettamente incidono su tali materie
appartengono perciò alla competenza legislativa, sia pure concorrente,
delle Regioni.
Non
solo. L’assistenza sociale, che il decreto Salvini rende impossibile a
favore dei migranti da esso ridotti allo stato di clandestini, è materia
di competenza esclusiva delle Regioni: una competenza esclusiva
ribadita più volte dalla Corte Costituzionale, intervenuta in sua difesa
con svariate pronunce (sentenze n. 300 del 2005; n. 156 del 2006; n. 50
del 2008; n. 124 del 2009; nn. 10, 134, 269 e 299 del 2010; nn. 40, 61 e
329 del 2011) contro le invadenze dello Stato. Di qui la legittimazione
delle Regioni, prevista dall’articolo 127, 2° comma della Costituzione,
a sollevare sul decreto Salvini la questione di legittimità
costituzionale della legge di conversione, entro sessanta giorni dalla
sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 3 dicembre 2018.
Ci sono ancora, in Italia, molte regioni governate da maggioranze
democratiche, dal Lazio al Piemonte, dall’Emilia alla Toscana, dalle
Marche alla Campania, dalle Puglie alla Calabria. La loro disponibilità a
promuovere la questione davanti alla Corte Costituzionale sarà il banco
di prova di quanto, al di là delle parole, queste Regioni a guida
democratica intendono prendere sul serio i principi costituzionali.
Infine c’è una terza via di accesso alla giustizia costituzionale,
percorribile dagli stessi sindaci che hanno deciso di non dare
applicazione al decreto Salvini.
Oltre
alla strada intrapresa dal sindaco Orlando – l’azione di accertamento,
già sperimentata in materia elettorale, davanti al giudice civile perché
questi chieda alla Corte Costituzionale se la legge è conforme o meno
alla Costituzione – i sindaci disobbedienti potranno, qualora i loro
provvedimenti venissero annullati dai prefetti, impugnare gli atti di
annullamento di fronte ai Tar, cioè ai tribunali amministrativi, e, in
quella sede, proporre l’eccezione di incostituzionalità delle norme da
essi ritenute incostituzionali. Insomma, la battaglia in difesa della
Costituzione è nuovamente aperta, grazie alla coraggiosa iniziativa dei
sindaci antirazzisti. Ciò che ora occorre è una mobilitazione di massa a
loro sostegno e a salvaguardia, di nuovo, della Costituzione della
Repubblica, già difesa dal 60% degli elettori nel referendum
costituzionale di poco più di un anno fa e oggi tradita dai nuovi
governanti. Questa volta è in questione assai più della tenuta o della
modifica delle regole formali sul funzionamento dei nostro organi di
governo. Sono in gioco – direttamente – tutti i principi sostanziali
della nostra democrazia:
l’uguaglianza, la dignità delle persone, il rifiuto delle
discriminazioni razziste, la solidarietà, i diritti fondamentali di
tutti, la civile e pacifica convivenza.
(Luigi
Ferrajoli, “Disobbedire è un dovere morale. Gli strumenti contro il
decreto Salvini ci sono. Serve mobilitarsi”, da “Il Manifesto” del 6
gennaio 2019).
Il rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto
ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza e vale a
svelarne il carattere «disumano e criminogeno», secondo le parole del
sindaco Orlando. E rappresenta una forte presa di posizione
istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo, per
chi non condivide statalismo etico e gius-positivismo ideologico, cioè
la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della
morale sul diritto quale che sia, che la disobbedienza civile alla legge
palesemente ingiusta è un dovere morale. Ovviamente, al prezzo delle
conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti. Ma qui
non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza.
L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere
incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali
delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e
neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte
alla Corte Costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una
pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile.Salvini e il decreto-migranti: la pacchia è finita, ma per noi
06/1 • idee •
Possiamo
entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto? Perché la
verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci ribelli,
soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di Salvini sia
sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un minimo di
buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto cosiddetto
sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà, discriminando
chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a Lodi con il
caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni dentro il decreto
sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai richiedenti asilo, per
dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e ai loro figli la
possibilità di andare a scuola. E cancellare la protezione umanitaria,
trasformando dalla sera alla mattina decine di migliaia di persone in
clandestini che non possono nemmeno cercare una casa o un lavoro che non
sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però, ancor prima che di
umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia finirà nelle periferie,
nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove abitano i buonisti, i
radical chic e pure Matteo Salvini.
Meno
bambini a scuola, più baby gang nelle strade. Meno persone che curano i
loro malanni, più contagi ed epidemie. Meno persone dentro un circuito
abitativo e lavorativo legale, più manodopera per caporali e mafie.
Dov’è la sicurezza in tutto questo? Dov’è che finisce la pacchia?
Davvero pensate che le 50mila persone cui sarà revocata la protezione
umanitaria e consegnato un decreto di espulsione se ne torneranno di
loro spontanea volontà “a casa loro”? Davvero pensate che ogni
richiedente asilo si presenterà ai cancelli dei “centri per il
rimpatrio’, sapendo che dovrà passare sei mesi da detenuto? La verità è
che nel nome della rabbia accumulata in anni di propaganda xenofoba e
securitaria – nonostante i reati in calo, nonostante il crollo degli
sbarchi antecedente all’era Salvini – stiamo costruendo un sistema che
aumenta i livelli di insicurezza sociale, anziché ridurli. Che mette
sotto stress le comunità locali e le periferie, anziché migliorarne le
condizioni di vita.
Che
nel nome dell’ideologia e del consenso di Salvini alle prossime
elezioni europee, mette una pressione enorme sulle spalle dei sindaci e
degli amministratori, di qualunque colore siano. Peraltro, nel contesto
di una legge di bilancio che toglie loro un sacco di soldi. E possono
pure farvi schifo Leoluca Orlando, Luigi De Magistris, Dario Nardella,
Antonio Decaro, Beppe Sala e tutti gli altri sindaci che si sono
schierati contro il decreto sicurezza. Potete pure giudicare strumentale
la loro protesta e illegittima la loro minaccia di disobbedienza. Ma vi
conviene – per il vostro bene, non certo per la faccia di Salvini o Di
Maio – pensare seriamente al merito della questione. Perché, qualunque
esse saranno, poi le conseguenze del decreto sicurezza sarete voi,
saremo noi, a pagarne il conto.
(Francesco
Cancellato, “Lettera aperta a chi applaude Salvini: col decreto
sicurezza la pacchia è finita per voi”, da “Linkiesta” del 4 gennaio
2019).
Possiamo entrare nel merito delle questioni, per qualche minuto?
Perché la verità è che dovremmo svegliarci tutti, non solo in sindaci
ribelli, soprattutto chi ancora oggi pensa che il pugno di ferro di
Salvini sia sinonimo di sicurezza sociale. Perché chiunque abbia un
minimo di buonsenso dovrebbe avere la lucidità di leggersi il decreto
cosiddetto sicurezza e chiedersi se davvero la sua vita migliorerà,
discriminando chi sta sotto di lui nella piramide sociale. Perché, come a
Lodi con il caso mense, è difficile non vedere le discriminazioni
dentro il decreto sicurezza. Negare l’iscrizione all’anagrafe ai
richiedenti asilo, per dire, vuol dire negare loro le cure sanitarie e
ai loro figli la possibilità di andare a scuola. E cancellare la
protezione umanitaria, trasformando dalla sera alla mattina decine di
migliaia di persone in clandestini che non possono nemmeno cercare una
casa o un lavoro che non sia irregolare. Parliamo di buonsenso, però,
ancor prima che di umanità. Perché col decreto sicurezza la pacchia
finirà nelle periferie, nei quartieri popolari, non certo nelle Ztl dove
abitano i buonisti, i radical chic e pure Matteo Salvini.Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni
06/1 • idee •
Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi
mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create
per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti:
l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi
ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante
della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate
anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel
2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico
sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar
ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017
scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani
della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide
et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo
fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che
avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il
ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste
debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd,
il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa
Francesco nelle gerarchie cattoliche…
Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere
gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti
tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà
delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare
come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e
continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come
dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva
campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto
del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani.
Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del
gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore
di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una
modalità molto diversa da quella “gesuitica” fredda e apparentemente
“buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche
anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed
efficace dell’opinione pubblica.
Di
fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che
non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e
verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai
chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di
spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova,
successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di
libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”,
loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto
il ring degli scontri e della devastazione. Ma speriamo bene,
soprattutto nelle risposte delle coscienze. Il ruolo di Putin va
interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”,
come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario
feudatario del potere,
ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si
affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo
svilupparsi ancora nel 2019. Anche in Italia il patto d’acciaio
gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha
falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai
livelli locali che nazionali, comincia a mostrare alcune crepe.
Il gioco politico – con la evidente crisi
dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto,
come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e
degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli
equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra
leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e
sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza
all’odio e all’egoismo. Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto
un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le
poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora
questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero
volto di strumento del potere,
di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una
presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di
uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso
filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza
internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la
dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti
bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole
di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio. E che sono e saranno i
primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e
farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2019.
Ora
queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra
parafascista della Lega e il gesuitico Cinquestelle, convivono con
difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente
precedente, ormai decotta e non più utile al potere
vero, preparando la stagione di un nuovo teatro di finta alternanza
democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e
conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista. Un
nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica
sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra
soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici, pur di consentire ai
soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura
istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea è ormai entrato in una fase di crisi:
il vento del divide et impera, sulla spinta della Brexit, delle
proteste di piazza francesi, delle spinte leghiste, pentastellate,
ungheresi, austriache, polacche, soffia forte sulle strutture europee,
accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata
emergenza immigratoria. Tutto ciò avrà un peso nelle elezioni per il
Parlamento Europeo del 2019, e da queste potrebbe emergere un nuovo
equilibrio delle strutture europee.
Un
cambiamento possibile perché nulla cambi, in fondo, nella tenuta dei
grandi poteri dietro le quinte, sul modello di quanto sta
gattopardescamente avvenendo in Italia. Come già detto lo scorso anno,
le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi
per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite
di sovranità. Ma non è detto riescano. Dipenderà molto dal grado di
risveglio dell’opinione pubblica. I governi delle grandi potenze
occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni
oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte
democrazie. Mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese
sarà ancora più evidente, e la grande civiltà indiana continuerà a
sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa,
apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre
più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture, e
dall’altro territorio di conquista delle armate economiche
neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere
il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza,
odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo. Mentre un
Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere
un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente.
Le
grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare
l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il
disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza
climatica e spingere il mondo a creare nuove forme di governance
mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la
presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma
forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore
peggioramento dell’emergenza ambientale). L’attacco portato alla salute
dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale
– partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza,
attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per
indurre problemi alle coscienze in risveglio. Prepariamoci a una lotta
dura e intensa, nella quale avremo l’appoggio del Cielo. Fino ad ora
questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di
coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel
2019, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai
vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta.
Anche nel 2019 ogni crisi
verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine
verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia
e libertà esteriori. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni
precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri
tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima
volta nella storia
umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora
maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di
mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani,
quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione
interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un
terzo dell’umanità – cominci a pensare che non siamo venuti qui per
predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la
natura e volendo l’uno il bene dell’altro. Cominciando finalmente ad
amare il nostro prossimo come noi stessi. Ecco, anche nel 2019 grandi e
oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare
questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la
liberazione dell’umanità proprio da quei poteri.
(Fausto
Carotenuto, estratto da “Come sarà il 2019?”, post pubblicato su
“Coscienze in Rete” il 29 dicembre 2018. Già analista geopolitico
dell’intelligence Nato, Carotenuto è approdato a una visione
spiritualistica del mondo, condensata nel saggio “Il mistero della
situazione internazionale”, pubblicato da UnoEditori. Carotenuto
considera i gesuiti come il vertice della piramide vaticana, e giudica
altrettanto negativamente la massoneria nel suo complesso, in quanto
organismo di ispirazione mondialista, a suo parere interamente
funzionale a un disegno di dominio).
Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi
mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create
per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti:
l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi
ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante
della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate
anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel
2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico
sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar
ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017
scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani
della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide
et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo
fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che
avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il
ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste
debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd,
il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa
Francesco nelle gerarchie cattoliche… Jfk, Luna e 11 Settembre: ci prendono in giro da 50 anni
05/1 • idee •
Quali
sono per me i tre argomenti di controinformazione più importanti, di
cui occuparsi? Be’, per me il più importante in assoluto è stato l’11
Settembre. Ci ho dedicato praticamente dieci anni di lavoro: per dieci
anni ho studiato solo quello. Ho fatto tre film, su quell’argomento. Ho
cominciato nel 2006, a cinque anni dall’evento, e l’ultimo lavoro l’ho
fatto nel 2013, quindi dopo 12 anni; per cui sicuramente l’11 Settembre è
l’argomento più importante, semplicemente perché determina il modo in
cui viviamo oggi. Non c’è evento al mondo, nella geopolitica e anche nel
privato personale (che ci riguardi tutti direttamente) che non abbia in
qualche modo che fare con la bugia dell’11 Settembre. Quindi per questo
lo ritengo l’evento più importante (almeno per noi per noi ci viviamo,
in questo periodo storico). Poi, allargando un po’ la visione, c’è
l’omicidio Kennedy. Secondo me è il prototipo della bugia universale
Cioè: è la prima volta, nella storia
– e siamo nel ‘63 – che la bugia viene diffusa a livello universale.
Viene “comprata” immediatamente, a occhi chiusi, da tutti i media
occidentali. E nessuno la mette in discussione – se non vent’anni dopo,
perché arrivano i ricercatori. Ma per tutti i telegiornali del mondo,
subito e per sempre, è stato Oswald a uccidere Jfk.
E
quella è stata la prima volta, storicamente, che la bugia si è diffusa
contemporaneamente in tutto il mondo con una sola voce, quella della
versione governativa americana. Direi che è stato il primo caso, quindi è
importante per questo. Poi c’è quello degli allunaggi, dove ovviamente
la presa per il culo è globale: perché se tu provi solo a ipotizzare
che già allora, nel ‘69, c’erano mezzo miliardo di persone al mondo,
incollate al televisore, che guardavano ’sta roba – convinte di vedere
della gente sulla Luna – scopri che è la prima volta che viene testato e
collaudato il meccanismo di inganno in tempo reale. Cioè: io ti sto
raccontando una fregnaccia e vedo (verifico) che tu ci stai cascando, ci
state cascando in tutto il mondo (solo perché la fregnaccia te la
faccio vedere in Tv. Io ti faccio vedere questi due pupazzi che si
muovono e saltellano sullo sfondo nero, ti dico che sono sulla Luna e
vedo che tu ci credi. Quindi ho la conferma di quale sia il potere
mediatico della televisione, in quel momento. Omicidio Kenendy,
allunaggi e 11 Settembre: impossibile fare una classifica di importanza,
dato che ciascuno di questi eventi ha la sua importanza storica.
(Massimo
Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights”
nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” del 5 gennaio 2019. Regista,
documentarista e giornalista, Mazzucco ha firmato documentari come
“Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, che demoliscono la versione
ufficiale sull’11 Settembre, secondo cui le Twin Towers sarebbero
crollate a causa dell’impatto degli aerei che le hanno colpite. Nel
documentario “L’altra Dallas”, Mazzucco dimostra che non fu Sirhan B.
Sirhan ad assassinare il fratello di Jfk, Robert Kennedy, candidato alla
Casa Bianca. E nell’ultimo audiovisivo prodotto, “American Moon”,
sempre Mazzucco – sulla scorta delle analisi fornite dai maggiori
fotografi internazionali – documenta come le immagini dello storico
allunaggio del 1969 non siano affatto state realizzate sulla Luna, ma in
studi cinematografici o in teatri di posa).
Quali sono per me i tre argomenti di controinformazione più
importanti, di cui occuparsi? Be’, per me il più importante in assoluto è
stato l’11 Settembre. Ci ho dedicato praticamente dieci anni di lavoro:
per dieci anni ho studiato solo quello. Ho fatto tre film, su
quell’argomento. Ho cominciato nel 2006, a cinque anni dall’evento, e
l’ultimo lavoro l’ho fatto nel 2013, quindi dopo 12 anni; per cui
sicuramente l’11 Settembre è l’argomento più importante, semplicemente
perché determina il modo in cui viviamo oggi. Non c’è evento al mondo,
nella geopolitica e anche nel privato personale (che ci riguardi tutti
direttamente) che non abbia in qualche modo che fare con la bugia
dell’11 Settembre. Quindi per questo lo ritengo l’evento più importante
(almeno per noi per noi ci viviamo, in questo periodo storico). Poi,
allargando un po’ la visione, c’è l’omicidio Kennedy. Secondo me è il
prototipo della bugia universale Cioè: è la prima volta, nella storia
– e siamo nel ‘63 – che la bugia viene diffusa a livello universale.
Viene “comprata” immediatamente, a occhi chiusi, da tutti i media
occidentali. E nessuno la mette in discussione – se non vent’anni dopo,
perché arrivano i ricercatori. Ma per tutti i telegiornali del mondo,
subito e per sempre, è stato Oswald a uccidere Jfk.Comanda il denaro: la politica obbedisce e il popolo subisce
05/1 • idee •
«Il
liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé
impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e
concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel
Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema
economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive
Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe
che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del
Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione
Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è
allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica
della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo
liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella
sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella
sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere,
disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra
spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i
popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le
frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i
paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio
del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la
definizione chimicamente pura del liberalismo».
Il
capitale, aggiunge il filosofo transalpino, vuole l’abolizione delle
frontiere per porre fine una volta per tutte a ciò che nell’ambito delle
nazioni e dei paesi è stato ottenuto con secoli di lotte sociali. Lo se
Stato teoricamente prevede una sicurezza sociale e offre scuole
gratuite, il pensionamento a un’età decorosa, diritti del lavoro e un
autentico progresso sociale, il neoliberismo si fa beffe delle tutele
sociali e pratica la medicina con due pesi e due misure, o quella dei
poveri o quella dei ricchi. «Dispone di un sistema di istruzione, certo,
ma a misura di genitori facoltosi in grado di pagare le rette per la
loro progenie e privo di utilità per i genitori indigenti». E poi
«ignora i limiti dell’orario di lavoro e fa sgobbare i lavoratori tutta
la giornata, tutta la settimana, tutta la vita, come ai tempi della
schiavitù». E’ un sistema che «non conosce il codice del lavoro e
trasforma gli operai, gli impiegati, i salariati, i proletari, i
precari, gli stagisti in soggetti sottomessi, che devono sobbarcarsi
ogni tipo di corvè». Quel che vuole il nuovo capitale, neoliberismo
«nella sua versione di destra come nella sua versione di sinistra», è
l’affermazione dei sempre più ricchi, a scapito dei sempre più poveri.
«Da qui la sua ideologia che prevede l’abolizione delle frontiere, degli
Stati e delle tutele di qualsiasi tipo – simboliche, reali, giuridiche,
legali, culturali, intellettuali».
Non
appena viene meno tutto ciò che protegge i deboli dai forti, scrive
Onfray, questi ultimi «possono disporre dei deboli a loro piacere, e i
deboli possono essere terrorizzati dal fatto di trovarsi in costante
concorrenza, possono essere sfruttati con posti di lavoro precari,
maltrattati con contratti a tempo determinato, imbrogliati con gli stage
di formazione, minacciati dalla disoccupazione, angosciati dalle
riconversioni, messi kappaò da capetti che giocano anche con i loro
stessi posti di lavoro». Evaporato lo Stato, è il mercato a dettare
legge. «Giocando la carta del liberalismo – aggiunge Onfray – la
sinistra al governo spinge nella medesima direzione del capitalismo con i
suoi banchieri». E giocando invece la carta dell’antiliberalismo, «la
sinistra definita radicale spinge nella medesima direzione», premiando
la finanza.
Queste due modalità d’azione della sinistra, aggiunge il filosofo,
hanno gettato il popolo alle ortiche: «Non ci sarebbero più operai,
impiegati, proletari, poveri contadini, ma soltanto un popolo-surrogato,
un popolo di migranti in arrivo da un mondo non giudeo-cristiano, con i
valori di un Islam che assai spesso volta le spalle alla filosofia dei
Lumi. Questo popolo-surrogato non è tutto il popolo, ne è soltanto una
parte che, però, non deve eclissare tutto ciò che non è».
Il
proletariato? «Esiste ancora, e così pure gli operai». Esistono ancora
anche gli impiegati (per non parlare dei precari, più importanti che
mai). «La pauperizzazione analizzata così bene da Marx è diventata la
vera realtà del nostro mondo: i ricchi sono sempre più ricchi e sempre
meno numerosi, mentre i poveri sono sempre più poveri e sempre più
numerosi». Se nell’ambito dell’Europa
si pratica l’islamofilia empatica, aggiunge Onfray, fuori dalle sue
frontiere il liberalismo che ci governa pratica un’islamofobia militare.
«Al potere,
in Francia, la sinistra socialista ha rinunciato al socialismo di
Jaurès nel 1983 e in seguito, nel 1991, ha rinunciato al pacifismo del
medesimo Jaurès prendendo parte alle crociate decise dalla famiglia
Bush, che così ha dato all’apparato industriale-militare che lo sostiene
l’occasione di accumulare benefici immensi, conseguiti grazie alle
guerre combattute nei paesi musulmani». Queste guerre «si fanno nel nome
dei diritti dell’uomo: di fatto, si combattono agli ordini del capitale
che ha bisogno di esse per dopare il suo business e migliorarne
artificialmente le prestazioni». Usare armi, insiste Onfray, significa
poterne costruirne altre, collaudandole sul campo. A chiudere il conto,
poi, provvede il business della ricostruzione, che – sempre ai soliti
monopolisti – garantisce «introiti smisurati».
Se
all’Occidente importasse qualcosa, dei diritti umani, eviterebbe di
allearsi con paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, la Corea del Nord e
la stessa Cina, che secondo Amnesty International non rispettano i
diritti dell’uomo. «Queste false guerre per la democrazia,
che di fatto sono vere e proprie guerre coloniali – sottolinea Onfray –
prendono di mira le comunità musulmane». Dal 1991 hanno provocato 4
milioni di morti tra le popolazioni civili dei paesi coinvolti. «Come si
può anche solo immaginare che l’Umma, la comunità planetaria dei
musulmani, non sia solidale con le sofferenze di quattro milioni di
correligionari?». Di conseguenza, aggiunge Onfray, non ci si deve
stupire se in virtù di quella che Clausewitz definì la “piccola guerra”,
quella che i deboli combattono contro i forti, l’Occidente gregario
della politica
statunitense si trova adesso esposto alla reazione che assume la forma
di terrorismo islamico. «La religione continua a essere “l’oppio dei
popoli”, e l’oppio è tanto più efficace quanto più il popolo è oppresso,
sfruttato e, soprattutto, umiliato. Non si umiliano impunemente i
popoli: un giorno quei popoli si ribelleranno, è inevitabile. E la
cultura musulmana ha mantenuto potentemente quel senso dell’onore che
l’Occidente ha perduto».
Il
ritorno del popolo alle urne, per Onfray, è una risposta «alla bassezza
di questo mondo capitalista e liberale che è impazzito». Dalla caduta
del Muro di Berlino, le ideologie dominanti «hanno assimilato la
gestione liberale del capitalismo all’unica politica possibile». L’Europa
di Maastricht «è una delle macchine con le quali si impone il
liberalismo in maniera autoritaria, ed è un vero colmo per il
liberalismo: negli anni Novanta, la propaganda di questo Stato
totalitario maastrichtiano ha presentato il suo progetto asserendo che
esso avrebbe consentito la piena occupazione, la fine della
disoccupazione, l’aumento del tenore di vita, la scomparsa delle guerre,
l’inizio dell’amicizia tra i popoli». Dopo un quarto di secolo di
questo regime trionfante e senza opposizione, «i popoli hanno constatato
che ciò che era stato promesso loro non è stato mantenuto e, peggio
ancora, che è accaduto esattamente il contrario: impoverimento
generalizzato, disoccupazione di massa, abbassamento del tenore di vita,
proletarizzazione del ceto medio, moltiplicarsi di guerre e incapacità
di impedire quella dei Balcani, concorrenza forzata in Europa per il lavoro».
A
fronte di questa evidenza, il popolo sembra prepararsi a reagire. «Per
il momento si affida a uomini e donne che si definiscono
provvidenziali». Certo, il doppio smacco di Tsipras con “Syriza” in
Grecia e di Pablo Iglesias con “Podemos” in Spagna «mostra i limiti di
questa fiducia nella capacità di questo o quello di cambiare le cose
restando in un assetto di politica
liberale». Per Onfray, anche Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle «vivono un
flop di egual misura». La Francia, che nel 2005 ha detto “no” a questa Europa
di Maastricht, «ha subito una sorta di colpo di Stato compiuto dalla
destra e dalla sinistra liberale» che, nel 2008, hanno imposto tramite
il Parlamento «l’esatto contrario di ciò che il popolo aveva scelto».
Onfray si riferisce al Trattato di Lisbona, ratificato da Hollande e dal
partito socialista, come pure da Sarkozy e dal suo partito. «Gli eletti
del popolo hanno votato contro il popolo, determinando così una rottura
che ora si paga con un astensionismo massiccio o con decine di voti
estremisti di protesta». Altri paesi ancora che hanno manifestato il
loro rifiuto nei confronti di questa configurazione europea liberale –
Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svezia, Paesi Bassi – sono dovuti tornare a
votare per rivedere le loro prime scelte. «La Brexit è in corso, e
assistiamo in diretta a una sfilza di pressioni volte a scavalcare la
volontà popolare».
Oggi,
riassume Onfray, il popolo «sembra deciso a voler fare tabula rasa di
tutti coloro che, vicini o lontani, hanno avuto una responsabilità
precisa nel creare la terribile situazione nei loro paesi». Lo scenario
contro cui si ribella è quello innescato dalla globalizzazione
neoliberista, «alle prese con le guerre neocoloniali statunitensi,
davanti ai massacri planetari di popolazioni civili musulmane e a guerre
che distruggono paesi come Iraq, Afghanistan, Mali, Libia e Siria,
provocando migrazioni di massa di profughi in direzione del territorio
europeo». Un panorama sul quale si staglia ingloriosamente
«l’inettitudine dell’Europa
di Maastricht, forte con i deboli e debole con i forti». Rabbia e
frustrazione: è il carburante che, in Francia, spinge in strada i Gilet
Gialli. «Una volta ottenuta questa tabula rasa – conclude Onfray – non è
previsto che ci sia alcun castello nel quale riparare, perché è
impossibile che vi resti un castello». A quel punto, aggiunge, «sembra
che non ci resterà che un’unica scelta: la peste liberale o il colera
liberale». Trump e Putin? «Non potranno farci nulla: è il capitale a
dettar legge. I politici obbediscono e i popoli subiscono».
«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé
impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e
concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel
Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema
economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive
Onfray su “L’Espresso”,
guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza
pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989,
seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha
potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo
precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta
con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato
un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più
paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato
«odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici,
combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le
nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali
che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è
locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a
esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge»,
per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».
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